Oltre 25 anni di esperienza e un’occhio allenato per scovare difetti di produzione fanno di Anna una delle nostre massime esperte del reparto confezione, l’ultima fase del processo produttivo.
Ciao Anna, ti sei sempre occupata di controllo qualità?
Dopo la fine degli studi ho fatto diversi lavori, tra cui l’addetta in un maglificio. Poi ho conosciuto la MET e da quando sono arrivata, il 13 settembre 1994 per l’esattezza, non sono più andata via. Mi piace sia il lavoro sia l’ambiente e in tutti questi anni ho acquisito sempre più esperienza, per cui mi sento di appartenere al posto giusto.
Ci racconti qual è la tua giornata tipo?
Dalle 8 del mattino alle 6 di sera sono nel reparto confezione, l’ultima fase del processo produttivo.
Il mio lavoro, e quello dei colleghi nel mio stesso reparto, è di fare il controllo qualità, scartando eventuali etichette non conformi durante la fase di taglio e piega con l’apposito macchinario. In pratica, controlliamo che l’etichetta sia piegata correttamente e non abbia difetti di ogni tipo, tra cui errori di tessitura o macchie di sporco.
Infine le raccogliamo e imbustiamo: a questo punto sono pronte per essere consegnate al cliente.
Come funziona il controllo qualità? Usate dei macchinari appositi?
No, facciamo tutto a mano controllando ogni singola etichetta. È questione di allenamento ed esperienza: negli anni ho imparato a scovare anche i difetti più piccoli per garantire al cliente una produzione di altissima qualità.
Oltre alla vista, anche il tatto ha un ruolo fondamentale: a volte è sufficiente far passare le etichette sulle mani per notare delle incongruenze. Questo trucco è molto utile soprattutto nelle etichette molto elaborate per cui, spesso, controlliamo anche il retro: ad esempio, se vedo che il filo è rotto significa che l’etichetta presenta un difetto sul fronte.
Ci sono volte in cui mi confronto fin da subito con Massimo – il responsabile del reparto tessitura – che evidenzia eventuali difetti già notati da lui, quindi vado quasi a colpo sicuro.
Pensi che il tuo lavoro sia faticoso?
A volte sì, soprattutto se sto per molto tempo con la testa china a controllare le etichette. Anche gli occhi si stancano molto, è inevitabile, però sono abituata.
Prima hai accennato alle etichette scartate: cosa se ne fa?
In MET la sostenibilità è un tema molto importante, ecco perché negli ultimi anni ci siamo dotati di una macchina sfilacciatrice che trasforma il prodotto scartato in un fiocco di poliestere. Questo materiale, in linea con i principi dell’economia circolare, è successivamente reintrodotto nel processo produttivo.
Quali sono stati i cambiamenti più grandi durante questi 25 anni in MET?
Sicuramente sono cambiate le richieste dei clienti e di conseguenza il modo di produrre le etichette. I brand della moda, soprattutto quelli del settore luxury, richiedono accessori ricercati, elaborati e complessi. Ho l’impressione che sempre di più l’etichetta sia un importante complemento da abbinare al capo finito.
Nel caso specifico della MET c’è anche stato un cambio generazionale: quando ho iniziato a lavorare qui c’era il signor Edoardo, con cui ho avuto il piacere di stare a stretto contatto: era un gran lavoratore, molto empatico e aperto al dialogo, la sua mancanza si sente. Siamo però fortunati perché al suo posto, ormai da qualche anno, ci sono i figli – Gilberto e Giancarlo – che trasmettono la stessa passione per il lavoro e portano avanti la tradizione di famiglia.
Cosa consiglieresti ad un/una giovane che vuole intraprendere questo percorso lavorativo?
Per approcciare e svolgere al meglio questo lavoro bisogna guardare gli altri, essere curiosi e metterci del proprio. Io ho imparato così, con pazienza e attenzione si può crescere molto sia professionalmente sia personalmente.